Da sempre il progresso industriale ha affascinato l’uomo propenso all’impiego della tecnologia, ma contemporaneamente ha spaventato gli addetti ai lavori che vedevano la propria professione sostituita dai macchinari.
Della disoccupazione tecnologica se ne parlava già ai tempi di Aristotele, anche se non esisteva ancora questa terminologia, resa popolare invece da John Maynard Keynes nel 1930, in “Economic Possibilities for our Grandchildren”. Sostanzialmente si tratta della perdita del lavoro data dal cambiamento tecnologico, con l’introduzione di mezzi e strumenti in grado di sostituire l’uomo in diverse mansioni.
La bilancia
I due termini da tenere in considerazione sono la disoccupazione tecnologica e la densità robotica. Se e quanto siano correlati tra loro lo spiega uno studio condotto da Tortuga, think tank italiano composto da studenti, ricercatori e professionisti in economia e scienze sociali, dal titolo “I robot ci rubano il lavoro?”, pubblicato nella rubrica Pachidermi&Pappagalli, dell’Osservatorio dei Conti Pubblici Italiani dell’Università Cattolica di Milano.
Secondo l’indagine, solo nel 2017 sono cresciute del 30 per cento le imprese italiane che hanno adottato sistemi in linea con la quarta rivoluzione industriale, sono infatti poi nati i vari incentivi per incentivare l’automazione.
Lo studio presenta dati risalenti al 2018 in cui è possibile vedere che la correlazione tra i due termini è molto debole: mettendo a confronto la densità di robot e il tasso di disoccupazione, emerge che proprio i paesi fortemente industrializzati hanno un maggior numero di persone occupate.
Alcuni esempi sono Corea del Sud, Germania e Giappone in cui la disoccupazione non supera il 4 per cento ma, al contrario, la densità robotica varia da un minimo di 3,03 per cento a un massimo di 6,31 per cento. Nello stesso anno l’Italia presentava un tasso di disoccupazione dell’11 per cento e una densità robotica dell’1,85 per cento.
Interpretazione dei dati
Dietro questa scarsa correlazione possono esserci diversi motivi, ad esempio la nascita di nuove professioni oppure il livello generale di occupazione che rimane invariato.
Il progresso tecnologico se da un lato porta all’eliminazione di alcuni ruoli in cui l’uomo viene sostituito interamente dal robot, dall’altra stimola la necessità di nuove competenze e profili.
È innegabile che a rimetterci siano alcune fasce della popolazione, generalmente le più anziane che difficilmente riescono ad adattarsi ai continui cambiamenti di mercato, si tratta quindi di un meccanismo che genera brevi periodi di disagio per i lavoratori. Come per tutti i fenomeni non esiste una risposta unica ma in questo caso si potrebbe parlare di “compromesso del progresso”.
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